Intervista a GIANCARLO CESARONI di RadioRai, 1981Da "Speciale FOLKSTUDIO" , www.rimmelclub.it
Gli inizi del FOLKSTUDIO
Il Folkstudio nasce nel '60 come un locale tra amicii, con un associazionismo spontaneo e diviene subito, inconsapevolmente, un locale di successo.
Le sue proposte diverse, la maniera di gestirle ed il tipo di presenza ne fanno subito il locale intellettuale per eccellenza degli anni '60 - '62.
A questo punto Harold Bradley, americano purosangue, punto di riferimento ed ispiratore, pensa ai suoi interessi e ne fa un locale da show business, sui modelli del Village, con tre-quattro show men per serata, senza un discorso che non deve risultare minimamente impegnato, ma che suo malgrado funziona politicamente come punto d'incontro, e dove ogni tanto, approffittando della scarsa sorveglianza di Bradley, riescono a cantare anche i rivoluzionari, tipo Della Mea, Settimelli e la Marini.
Tale linea dura sino al 67', quando Bradley ritorna negli States (il suo show business ha fatto il suo tempo, il locale va male perchè sono sorti altri punti d'incontro più confortevoli e comodi, e perchè la confusione di linea ha allontanato un pò tutti).Dall'ottobre del '67 con la nuova gestione diretta, si cambia completamente anche se gradualmente.
Si ha il grosso vantaggio di essere indipendenti dal bisogno, e su tale sicurezza, sì può cominciare a gestire verso direzioni culturali ben precise.Comincia subito il discorso dell’altra musica", cercando di accogliere, dare spazio e presentare i prodotti fuori dai canoni di consumo, tutte le proposte originali valide nella loro musica e nei loro contenuti.Nascono progressivamente i recitals, le rassegne, e i festivals, insomma la presentazione di personaggi noti o sconosciuti in un'unità di discorso e di programmazione. Nasce il rapporto continuo con l'informazione, si cominciano a passare i comunicati stampa e vengono le recensioni. Il Folkstudio è diventato maggiorenne ed inizia a svolgere un ruolo di teatro dì musica dedicato alle nuove proposte e ai nuovi personaggi.Tale ruolo viene recitato costantemente ed è con questo meccanismo che il Folkstudio diventa il vivaio da cui passano agli inizi tutti i personaggi conosciuti e sconosciuti di oggi, da Francesco De Gregori ad Antonello Venditti, da Tommaso Vittorini a Massimo Urbani (presentati nel millenovecentosettantatre come le nuove leve del jazz), da tutti gli interpreti di musica popolare da Maria Carta a Matteo Salvatore, sino alle nuove proposte di musica sudamericana con i Quilapayun o i Condores nel 1968-1969 sino a Daniel Viglietti nel 1976, con i Black Jack David irlandesi del 1977 ed il continuo vivaio del Folk-studio Giovani.
In quest'ottica di riforma e di contrapposizione alla musica di consumo dilagante, si cerca di allargare i confini e presentare le proposte diverse su piano nazionale e nasce l'etichetta discografi-ca nel 1975 con i dischi di M. Locasciul-li, V. Chalot, A. Infantino, A. Harman, C. Sannucci, la Folk Ma-gic Band, i Tarantolati, la musica contemporanea di Schiano e Guaccero e le Nacchere Rosse.
Sempre in quest'ottica di esportazione nazionale, vengono i tentatívi di gestione comune di circuiti spettacoli in Italia con altri centri politicamente attivi iniziato nel 1977 e proseguito sino ad ora con i Folk Festival e con le aperture delle nuove frontiere musicali, irlandese nel 1979 ed africana nel 1980.
Nel locale si continua a gestire sempre musica con lo stesso indirizzo. Apertura a nuova musica e nuovi personaggi dando loro un palcoscenico per le loro proposte, un pubblico piccolo, ma buono per un riscontro, il massimo appoggio con i mezzi d'informazione per una propagazione del loro discorso, per aiutarli a proseguire nella strada intrapresa, fuori da un rapporto di dare ed avere e fuori da discorsi commerciali e di mass-media che specialmente oggi bombardano e distruggono ogni tentativo di proposta culturale.
Questa in breve la storia e la finalità di intenti del Folkstudio.
Oggi, dopo vent'anni di attività, siamo molto stanchi e delusi e vorremmo smettere. il momento politico e culturale è uno dei peggiori con il consumo che colpisce in tutti i campi ed il nicolinismo che ha determinato la nascita di una tribù di falsi operatori culturali, pronti a mungere in nome di operazioni più o meno intellettualistiche.
Sarebbe quindi il caso di proseguire per cercare di essere un'isola nel mare di consumo che ci circonda, ma non sappiamo se ce la faremo.(Giancarlo Cesaroni, 1981)
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